Poi c`è stata l`era mia di migrazione in New South Wales, in un contesto in cui la mia lingua, la mia relazione col cibo, il mio senso dell`umorismo (diciamo cultura per sbrigarci) erano sconosciute al di fuori dello stereotipo solito, come lo è la geografia dell`Italia (ancora oggi certe volte non mi va di uscire per non dover spiegare a spanne che l`Emilia Romagna è quella cosa tra Venezia e la Toscana, e che le lasagne e la Ferrari, e il prosciutto e il Parmigiano e Fellini vengono da lì).
Ora sono a Melbourne, una tra le più grandi comunità italiane al mondo, la città più europea d`Australia, straordinariamente ricca di artisti e musicisti e designer(s) e architetti e quant`altro, adorabile per vivibilità e camminabilità. Il fatto che questa abbia un centro (non solo centri commerciali) dal quale sia possibile e piacevole andarsene a piedi per quartieri circostanti, anch`essi piacevoli, e di poter viaggiare quasi ovunque in bicicletta e con mezzi pubblici credo mi frenerà molto dal poter mai dare una seconda chance a Sydney, che invece si spalma tutto intorno, un po`come Los Angeles. Qui il mio cibo, la mia lingua, i miei concittadini sono a casa da sempre (c`erano degli italiani anche tra le prime famiglie che fondarono Melbourne). Ho deciso di escludere i miei connazionali nella ricerca di casa e coinquilini per non sedermi troppo comoda, ma amici italiani qui ne ho trovati molti, ed è un piacere vedersi e aiutarsi a vicenda in questa continua doppia decodificazione del mondo e di sè, nella comprensione della nostra molteplice identità (siamo mille italie ma tutti intensamente italiani e ce ne accorgiamo solo quando ci osserviamo dall`esterno).
I vicini di casa sono la Nuova Zelanda e L`Asia. L`Asia è grande. Io sono l`unica caucasica del mio corso di arti grafiche. I miei compagni vengono in gran parte da India, Cina e Giappone. per cui ogni mattina io mi sveglio ed indosso vari sguardi, vari punti di vista, per orientarmi e per rapportarmi.
Da una parte, la visione di me come italiana (che fatica spiegare cosa significa) dal punto di vista anglosassone
(un po` di mezzogiorno generico e di famiglia, la moda e il cibo, gli immigrati tagliatori di canne, l`arte e il caffè, la gelosia e la mafia patinata del padrino, la passione e le grosse lacune di indipendenza femminile),
dall` altra la mia visione dell`Italia che si capisce meglio attingendo a stampa e media esteri, poi il punto di vista asiatico sull`Italia
(chiedo scusa per la generalizzazione, se l`Italia e` tante cose di certo l`Asia è l`universo e i punti di vista sono milioni, appena ne avrò assorbito qualcuno li condividerò, promesso),
poi, finalmente, il mio contatto con l`Asia e le sue mille forme.
Ce n`è abbastanza per non capirci più nulla, ma questo è in realtà solo l`inizio. Ci sono poi, come filtri aggiuntivi:
Ce n`è abbastanza per non capirci più nulla, ma questo è in realtà solo l`inizio. Ci sono poi, come filtri aggiuntivi:
- il mio accento, che il 90% degli intervistati curiosi di saperne la provenienza, alla domanda indovina ha risposto francese (e giù a ripetere che in Romagna c`è una battuta sul nostro dialetto da spacciare per francese, per storia e assonanza),
- lo spagnolo praticato anche qui con amici argentini, peruviani, cileni e boliviani ed ogni volta sia loro che io ripiombiamo sull`inglese nonostante ci si riprometta di praticare loro l`italiano, io lo spagnolo (è come andare dall` altra parte della città per visitare il vicino di casa),
- i reciproci sguardi britannici, nordamericani, neozelandesi, tasmani, rurali e di città, europei (ognuno dei possibili sguardi) e aborigeni e africani e maori su di noi ed il nostro su di loro, le incomprensioni e le differenze e le uguaglianze e le somiglianze e la voglia in fondo d`esser solo curiosi,
- il fatto che tutto questo si confronti su un territorio in cui la storia non taglia le gambe al futuro, in cui anzi tutto si muove assai velocemente, in cui succedono più cose in un mese che in Italia in cinque anni,
- il ricordare, banalmente ma necessariamente, che c`è più distanza tra immigrati in tempi e contesti diversi che tra immigrati da luoghi diversi,
- la consapevolezza che l`incomprensibilità mia ed altrui hanno pari diritto ad esistere, e che ad ogni mio sforzo per farmi capire corrisponde uno sforzo uguale e contrario in chi ascolta per comprendere, così come sia in me che negli altri la voglia di comunicare si alterna alla stanchezza estrema del cervello in Babele, all`accettazione dei lati oscuri delle conversazioni, lati che talvolta restano oscuri per anni, per chiarificarsi poi magari quando è troppo tardi o non ha più nessuna importanza,
- l`accettazione del fatto che non solo di parole vive l`uomo, ma di fatti soprattutto, e di cervello destro e di linguaggio preverbale, per cui si torna (ma abbiamo poi mai smesso?) ad aiutarsi con la gesticolazione tanto cara a noi italici, il che spiega perchè abbiamo tanti problemi inizialmente al telefono quando dobbiamo confrontarci con gli ozzies in Oz.
Ecco, forse questa è la vera soluzione alla crisi d`identità: slegarsi di tanto in tanto dai nomi delle cose ed essere e fruire quel che il mondo è, ricordandomi Paul Valery quando scriveva: "nessuno mai si è ubriacato con le etichette dei vini", continuando nel frattempo a nutrirmi dei suoni e dei significati e cercando di darmi il tempo di assaporarli prima di digerirli. I miei amici hanno promesso di correggermi ma non vogliono più farlo, dicono che preferiscono il sapore del mio accento. Banchetto globale di suoni e simboli. Nuova indigestione.