mercoledì 26 novembre 2008

How to enjoy identity crisis (Sto bene ma non so più chi)

All`inizio c`erano le parole. Le mie, le vostre, le parole cui siamo abituati, parole tutto intorno, così tante e così a sproposito che spesso nemmeno ci accorgevamo più di quanto fossero ormai lontane dal loro significato vero, di quanto non riuscissimo più a parlarci, con quelle parole, e di quanto avessimo permesso che ci venissero rubate senza proteggerle e con esse il mondo cui le parole stanno attaccate. Allora si tentava di sopperire col teatro, la gesticolazione, il linguaggio corporeo (siamo famosi anche per questo noi italiani), e spesso funzionava, come sempre ha funzionato nei secoli in cui le nostre nonne, provenienti dalle mille Italie, mimavano quello che risultava intraducibile da un dialetto all` altro. Io, come tutti, ho però continuato ad usarle e ad amarle tanto, quelle parole, ed ancora lo faccio, sebbene il tutto non sia sempre ricambiato.

Poi c`è stata l`era mia di migrazione in New South Wales, in un contesto in cui la mia lingua, la mia relazione col cibo, il mio senso dell`umorismo (diciamo cultura per sbrigarci) erano sconosciute al di fuori dello stereotipo solito, come lo è la geografia dell`Italia (ancora oggi certe volte non mi va di uscire per non dover spiegare a spanne che l`Emilia Romagna è quella cosa tra Venezia e la Toscana, e che le lasagne e la Ferrari, e il prosciutto e il Parmigiano e Fellini vengono da lì).

Ora sono a Melbourne, una tra le più grandi comunità italiane al mondo, la città più europea d`Australia, straordinariamente ricca di artisti e musicisti e designer(s) e architetti e quant`altro, adorabile per vivibilità e camminabilità. Il fatto che questa abbia un centro (non solo centri commerciali) dal quale sia possibile e piacevole andarsene a piedi per quartieri circostanti, anch`essi piacevoli, e di poter viaggiare quasi ovunque in bicicletta e con mezzi pubblici credo mi frenerà molto dal poter mai dare una seconda chance a Sydney, che invece si spalma tutto intorno, un po`come Los Angeles. Qui il mio cibo, la mia lingua, i miei concittadini sono a casa da sempre (c`erano degli italiani anche tra le prime famiglie che fondarono Melbourne). Ho deciso di escludere i miei connazionali nella ricerca di casa e coinquilini per non sedermi troppo comoda, ma amici italiani qui ne ho trovati molti, ed è un piacere vedersi e aiutarsi a vicenda in questa continua doppia decodificazione del mondo e di sè, nella comprensione della nostra molteplice identità (siamo mille italie ma tutti intensamente italiani e ce ne accorgiamo solo quando ci osserviamo dall`esterno).

I vicini di casa sono la Nuova Zelanda e L`Asia. L`Asia è grande. Io sono l`unica caucasica del mio corso di arti grafiche. I miei compagni vengono in gran parte da India, Cina e Giappone. per cui ogni mattina io mi sveglio ed indosso vari sguardi, vari punti di vista, per orientarmi e per rapportarmi. 

Da una parte, la visione di me come italiana (che fatica spiegare cosa significa) dal punto di vista anglosassone 

(un po` di mezzogiorno generico e di famiglia, la moda e il cibo, gli immigrati tagliatori di canne, l`arte e il caffè, la gelosia e la mafia patinata del padrino, la passione e le grosse lacune di indipendenza femminile), 

dall` altra la mia visione dell`Italia che si capisce meglio attingendo a stampa e media esteri, poi il punto di vista asiatico sull`Italia 

(chiedo scusa per la generalizzazione, se l`Italia e` tante cose di certo l`Asia è l`universo e i punti di vista sono milioni, appena ne avrò assorbito qualcuno li condividerò, promesso), 

poi, finalmente, il mio contatto con l`Asia e le sue mille forme.

Ce n`è abbastanza per non capirci più nulla, ma questo è in realtà solo l`inizio. Ci sono poi, come filtri aggiuntivi:

  • il mio accento, che il 90% degli intervistati curiosi di saperne la provenienza, alla domanda indovina ha risposto francese (e giù a ripetere che in Romagna c`è una battuta sul nostro dialetto da spacciare per francese, per storia e assonanza),
  • lo spagnolo praticato anche qui con amici argentini, peruviani, cileni e boliviani ed ogni volta sia loro che io ripiombiamo sull`inglese nonostante ci si riprometta di praticare loro l`italiano, io lo spagnolo (è come andare dall` altra parte della città per visitare il vicino di casa),
  • i reciproci sguardi britannici, nordamericani, neozelandesi, tasmani, rurali e di città, europei (ognuno dei possibili sguardi) e aborigeni e africani e maori su di noi ed il nostro su di loro, le incomprensioni e le differenze e le uguaglianze e le somiglianze e la voglia in fondo d`esser solo curiosi,
  • il fatto che tutto questo si confronti su un territorio in cui la storia non taglia le gambe al futuro, in cui anzi tutto si muove assai velocemente, in cui succedono più cose in un mese che in Italia in cinque anni,
  • il ricordare, banalmente ma necessariamente, che c`è più distanza tra immigrati in tempi e contesti diversi che tra immigrati da luoghi diversi,
  • la consapevolezza che l`incomprensibilità mia ed altrui hanno pari diritto ad esistere, e che ad ogni mio sforzo per farmi capire corrisponde uno sforzo uguale e contrario in chi ascolta per comprendere, così come sia in me che negli altri la voglia di comunicare si alterna alla stanchezza estrema del cervello in Babele, all`accettazione dei lati oscuri delle conversazioni, lati che talvolta restano oscuri per anni, per chiarificarsi poi magari quando è troppo tardi o non ha più nessuna importanza,
  • l`accettazione del fatto che non solo di parole vive l`uomo, ma di fatti soprattutto, e di cervello destro e di linguaggio preverbale, per cui si torna (ma abbiamo poi mai smesso?) ad aiutarsi con la gesticolazione tanto cara a noi italici, il che spiega perchè abbiamo tanti problemi inizialmente al telefono quando dobbiamo confrontarci con gli ozzies in Oz.
Se invece che al linguaggio ci riferiamo al cibo il risultato è a volte una strana indigestione che non placa la fame, un`ubriacatura di sapori e di suoni cui non si sa più rinunciare. Ogni giorno la mia identità cangiante si dibatte tra il dovere del lutto di qualcosa che svanisce e la celebrazione di qualcosa che sto diventando, smarrita per il non sapere più che nome dare all` etichetta con cui mi presento, italiana certamente e sempre, ma più per piacere che per dovere, e comunque solo dopo tutto il resto, tutto il resto che sto diventando e che sono, tutto quello che scopro di amare e che scelgo di fare e di vivere, e che capisco ed ascolto meglio quando metto da parte per un poco le parole. 

Ecco, forse questa è la vera soluzione alla crisi d`identità: slegarsi di tanto in tanto dai nomi delle cose ed essere e fruire quel che il mondo è, ricordandomi Paul Valery quando scriveva: "nessuno mai si è ubriacato con le etichette dei vini", continuando nel frattempo a nutrirmi dei suoni e dei significati e cercando di darmi il tempo di assaporarli prima di digerirli. I miei amici hanno promesso di correggermi ma non vogliono più farlo, dicono che preferiscono il sapore del mio accento. Banchetto globale di suoni e simboli. Nuova indigestione.
 

lunedì 24 novembre 2008

In ordine sparso

Da qualche parte bisognerà iniziare, prima o poi.
Si affronta ad un certo punto l`idea di doversi sedere un attimo, decidere cosa tenere e cosa buttare, (
ancora?) stavolta forse con più forza nel cercare di procedere verso una scelta invece che sulla difficoltà di lasciar andare.

C'è da decidere il colore del blogghino, dove metto i vestiti e dove i libri, fosse anche per pochi mesi, chi lo sa, il clima di Melbourne non è
il suo aspetto più imprevedibile (ormai non dico nemmeno più che ah, ma questa volta me lo giuro! che sarà l`ultimo trasloco), perdo traccia di amici per mesi e non so più dove eravamo rimasti, avrei dovuto fermarmi a contemplare tutto quello di cui mi sono nutrita e perchè qualcosa sia risultato essere tossico o velenoso, mi sono invece fatta prendere dal vento spiraliforme ascendente di Melbourne e ho fatto bene.

Le parole stesse, la fluidità delle lingue, del dialogo e del pensiero seguono ormai una sequenza cosi` casuale (ancora mi vergogno a usare
random in italiano) che in pratica non mi aspetto più in quale lingua e in quale mondo culturale penserò per la maggior parte del giorno. E mi va benone così.

Il problema non sta all`inizio, per quanto traumatico possa essere l`impatto con la lingua australiana che ha fonetica e slang assai complessi da digerire, il problema arriva quando si pensava di potersi rilassare. Quando la lingua non sembra più un problema. Quando ci si dimentica in che lingua si sta pensando. E si viene accolti dalle persone in quanto persone, dunque ‟sgusciati” dal ruolo protettivo (europeo, italiano, turista o quel che è), e trattati come chiunque altro.

E ci si imbatte nel senso dell`umorismo australiano. Ecco, lì son dolori. Ma anche grosse soddisfazioni, in fondo. Il senso dell`umorismo australiano si basa sullo scardinare i taboo in maniera secca (senza mai diretta offesa, sennò botte, metaforicamente e alcuni purtroppo invece proprio se menano) e sul far leva sui punti deboli dell`amico. Nel pigiare il grosso bottone che più o meno abbiamo tutti, quello che ci fa saltare dalla sedia, che pigia sui nostri punti deboli. Questo è solitamente riservato agli amici, è come una dimostrazione di benvenuto e un rito di passaggio (posso spingere i tuoi limiti e possiamo riderne perchè sono tuo amico) e se si riesce a non impelagarsi nei nostri
Cosa avrà voluto dire? Voleva mica offendere? ma a ribattere con la stessa leggerezza, sarcasmo difficile da manovrare in questo mix cultural-geografico, ecco, se e quando si riesce questa cosa è assolutamente uno dei cibi più inebrianti in circolazione.

Non è per niente facile, però.

Altre cose morsicate utimamente nel prossimo post dal titolo
How to enjoy your identity crisis(Sto bene ma non so più chi)